Nessuno gli ha trasmesso la passione per la fotografia. Qualcosa è scattato in maniera spontanea e impetuosa, tanto da farne una ragione di vita. “La fotografia mi ha aiutato a vivere. Nei momenti più tristi della mia vita mi è stata di grande aiuto e conforto”. Le parole di Ulisse Bezzi, affidate a una video-intervista del 2006 realizzata da Alessio Fattori ed Enrico Belardi, riassumono anni di dedizione e la ricerca di uno sguardo inedito.

Bezzi all’epoca aveva 80 anni e alle spalle decine di concorsi in tutto il mondo. Oggi, compiuti i 93, è protagonista della mostra Il respiro del tempo. Le fotografie di Ulisse Bezzi, in programma al PR2 di Ravenna dal 3 novembre 2017 fino al 7 gennaio 2018, a cura di Alessandra Mauro.

La storia di Ulisse Bezzi, quella che lo lega indissolubilmente all’obiettivo, inizia oltre 50 anni fa. Ulisse nasce nell’agosto del 1925 a San Pietro in Vincoli, non molto distante da Ravenna, dove ancora oggi vive con la moglie Giulia. E’ un agricoltore, come tanti in quelle zone, ma a partire dal 1950, poco più che ventenne, inizia a sentire il desiderio di fotografare. Lo fa in ogni ritaglio di tempo, prima con una 24/36 Kodak, poi con una 6/6 Rollei e una 24/36 Mamija. Scattare fotografie diventa un’esigenza che lo porta anche a partire dopo lunghe giornate di lavoro, di notte, per raggiungere la zona industriale di Ravenna o paesaggi lontani, da catturare prima dell’immediato ritorno.

Dal 1957 iniziano i primi concorsi che coprono quasi tutto lo Stivale e sconfinano, a Montecarlo, Riga, Barcellona, Berlino, Hong Kong, Santiago, San Paolo… Le “piazze” ambite dai fotoamatori, tuttavia, non sono al centro dei suoi pensieri. E’ il bisogno di fare fotografie ad animare la sua ricerca.

Non riuscivo a esprimermi e soffrivo. Stavo male. Sentivo questo forte desiderio e non riuscivo ad esternarlo”.

Si pensa che la fotografia debba essere lo specchio della realtà, di ciò che si palesa davanti ai nostri occhi. Secondo Ulisse Bezzi invece, se qualcosa crea disturbo alla composizione, va semplicemente eliminato. L’estetica dell’immagine, appresa frequentando gli studi dei pittori della “Bassa”, domina alcuni lavori che ritraggono artisti come Primo Costa o Demo Liverani immersi nelle loro opere.
Lo scatto “perfetto” infatti, secondo Bezzi, è il 
risultato di un’ideale addizione tra l’espressione naturale e la giusta composizione, che si ottiene fotografando a mano libera, senza cavalletto, in modo da potersi spostare continuamente intorno al soggetto, per provare diverse angolazioni. Le fotografie che Ulisse considera migliori sono quelle che, nell’attimo stesso in cui sono state scattate, provocano un “tuffo” al cuore; quelle che colgono lo spirito dell’istante, così come immaginato guardando dentro l’obiettivo.

Questa inquietudine accompagna tutta l’attività di Ulisse, e lo porta negli anni a esporre nelle biennali Fiap del ‘64, ‘66 e ‘72, con numerose pubblicazioni su annuari, almanacchi, libri e riviste di settore. Alcune sue opere sono state esposte alla Galleria d’Arte Moderna di Salisbury (l’attuale Harare) in Zimbabwe, e al ministero della Cultura in Germania. Due anni fa, il gallerista newyorkese Keith De Lellis, dopo aver acquistato un corposo numero di fotografie durante una trasferta in Italia, ha esposto un suo scatto nella mostra dedicata a Mario Giacomelli e al paesaggio italiano del Dopoguerra.

Vernissage della mostra
Venerdì 3 novembre ore 17
con le musiche di Christian Ravaglioli
#ULISSEBEZZI
@palazzorasponi2
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