Un approfondimento sull’inizio del percorso artistico di Tina Modotti, tra influenze ed esperienze culturali nel panorama americano di inizio Novecento.

Locandina film
Locandina film "The tiger's coat" con Tina Modotti

La formazione artistica e la sensibilità interiore di Tina Modotti si fondano sulla dimensione del viaggio, sul necessario stile di vita poliedrico di un’emigrante e, in parte non trascurabile, sui fortuiti incontri.

Il padre Giuseppe Modotti, un po’ carpentiere, un po’ meccanico, un po’ musicista dilettante, le fa strada indirettamente verso un non troppo Nuovo Mondo. Dopo alcuni anni passati con la madre e i fratelli in Friuli, terra su cui Tina lascerà sedimentare ricordi legati alle giornate passate in filanda e alle prime esperienze fotografiche con lo zio, raggiunge il padre, nel 1913, in una San Francisco che vanta una densa e vitale comunità italiana.

È l’inizio del suo periodo forse più spensierato e allo stesso tempo più illusorio, almeno secondo la Tina degli anni ’20, quella che guarderà a questo suo passato sfavillante come una nota superficiale della sua vita.

In realtà non si rivela tale poiché, nella Little Italy di San Francisco, scandita dal lavoro quotidiano ma anche dal calore del teatro e della convivialità, lei trova senza troppi sforzi il suo posto, o meglio il suo ruolo. Prende parte a numerose rappresentazioni teatrali presso il teatro italiano della città, dove il senso di identità e appartenenza comuni si alternano al puro divertimento.

Tina ne diventa il volto più sincero e, mentre cambiano le compagnie teatrali con cui si esibisce, restano immutate le critiche positive nei confronti delle sue performance. Allo stesso tempo, comincia a frequentare circoli operai, seguendo dibattiti e confronti, in un crescendo di iniziative e nuove conoscenze.

Questo fertile ambiente fa crescere in lei un desiderio di maggiore individualità, che sembra inizialmente concretizzarsi non dietro l’obiettivo di una macchina fotografica bensì attraverso la lente della cinepresa di Hollywood. Quello del cinema muto è un mondo fatto di assenza di parola ed esuberanza di stereotipi; dentro quella “bellezza italiana”, che il divo Rodolfo Valentino aveva istituito, Tina sembra cascarci a pennello: prima nel ruolo della gitana, poi della donna fatale, fino a quello quasi premonitore dell’amante messicana (nella più famosa pellicola del 1920 The tiger’s coat). Ma registi e produttori le sembrano più interessati alle linee del suo corpo e al suo fascino esotico, piuttosto che a raccontare storie intense e drammatiche come quelle del suo teatro.

È lo stesso periodo in cui Tina conosce Rubaix de l’Abrie Richey, forse in occasione di una mostra di futuristi italiani nel 1915, forse con la complicità della sorella di lui nel 1917. Certamente, l’incontro con Robo (così soprannominato da amici e colleghi) segna per Tina un secondo scorcio sulla cultura e il pensiero artistico della West Coast di inizio secolo.

Robo la introduce all’arte dei salotti; il giardino della casa in cui presto si trasferiscono si popola ogni giorno di scrittori, poeti, intellettuali, persone atipiche, raffinate e cosmopolite. Nonostante il loro carattere mellifluo e decadente, questi incontri borghesi forniscono a Tina gli strumenti necessari a calibrare la sua eccezionale personalità artistica.

In particolare, secondo il romanzesco resoconto della Tinissima di Elena Poniatowska, la giovane Tina ebbe modo di conoscere notevoli personalità artistiche e intellettuali. A cominciare da John Cowper Powys, scrittore e edonista britannico, che affascina Tina per le sue idee turbolente, a metà tra il materialismo di un filosofo e lo spiritualismo di un moderno profeta. Conosce Gomez Robelo, critico d’arte e direttore de la Academia de Bellas Artes di Città del Messico, che per lei recita Keats, Shelley e Byron. Quando lei gli chiede di raccontarle del Messico, lui le parla di Diego Rivera e dei muralisti, in cui le masse lavoratrici iniziano a identificarsi: perché in Messico l’arte è un atto morale. Incontra Edward Weston, la sua solidità, le sue fotografie sensibili, i suoi scatti nudi, testimoni di quel fare arte e poesia, quel respirare l’essenzialità contro il superfluo dell’Occidente, quel condividere sensualità e giovinezza.

Da lì a poco, due ultimi avvenimenti condurranno definitivamente Tina verso l’epico Messico: la morte di Robo a Città del Messico, nel febbraio del 1922, e quella del padre a San Francisco, nel marzo dello stesso anno. Un aspetto sembra legare questi due uomini così diversi, un aristocratico e annoiato poeta-pittore e un laborioso padre di famiglia: l’aver condotto Tina verso nuove esperienze e scoperte, quali furono quelle offerte dagli Stati Uniti e dal Messico.

Nelle poche settimane che Tina trascorre nella terra dei campesinos, prima di tornare a San Francisco per l’estremo saluto al padre, la giovane artista riesce a incontrare più volte il Ministro dell’Educazione pubblica José Vasconcelos. Il vitale programma di nazionalismo culturale, che stava perseguendo per risanare il paese dopo la Rivoluzione, sembrava la realizzazione dei sogni di Tina e di quegli amici idealisti, lasciati in California, che si facevano sempre più lontani.